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 C’è, ma non si vede…o non si vorrebbe vedere

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Andre93
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MessaggioTitolo: C’è, ma non si vede…o non si vorrebbe vedere   C’è, ma non si vede…o non si vorrebbe vedere Icon_minitimeVen Mag 30, 2008 2:39 pm

Per introdurre la questione, annosa e sconcertante, in modo rapido e credibile, vorrei citare qualche affermazione e un paio di dati. “Non si può negare che la globalizzazione ha effettivamente fatto fare dei passi avanti al mondo, migliorando lo standard di vita e l’estensione dei diritti economici negli ultimi 30 anni,” ha detto Sakiko Fukuda-Parr, direttrice del “Rapporto sullo sviluppo umano”, edito ogni anno dalla “Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo”. La quale però ha aggiunto: “La condivisione di questi miglioramenti è tuttavia estremamente limitata”. Bill Gates, uomo da 120 milioni di dollari al giorno, Warren Buffet e Paul Allen hanno insieme un patrimonio maggiore di 600 milioni di abitanti dei 43 Paesi meno sviluppati. Inoltre si registra una tendenza inesorabile alla concentrazione di denaro tra colossi economici: i “top 10” posseggono più del 30% delle principali risorse economiche del mondo.

Attualmente si fa un gran parlare di Welfare State: cosa vogliono dire queste due parole anglosassoni? Semplicemente la capacità di un Paese di riuscire a garantire ai suoi cittadini un tenore di vita accettabile, un modo di vivere decoroso. Ma i governi riescono davvero in quella che sembrerebbe un’ovvietà? Sono davvero in grado di offrire una simile garanzia? Lo sviluppo di un Paese è molto di più dei numeri che si trovano sull’atlante alla voce Prodotto Nazionale Lordo: leggendo questo indice per la Svizzera compare la cifra di 30.270 $ pro capite. Tale cifra sembra incredibile e mi sto riferendo solo al 1997, figuriamoci oggi, nel trascendente 2003, con i benefici della “globalizzazione”. Assurdità! Ecco quello che rappresentano queste freddi ghirigori d’inchiostro: quando si è in presenza di questi dati statistici ci si deve ricordare che quella che ci è fornita altro non è che una media. Signori miei, nel popolo elvetico oggi si stima come minimo un 10% di poveri. Come si può esaltare a livello di utopia terrena un Paese dove in media un abitante possiede 60 milioni di vecchie lire, ma un cittadino su dieci è un working poors o un homeless? Ciononostante la mia invettiva non deve neanche essere di tale portata verso i nostri vicini di casa, dal momento che 1/4 delle imposte dei cantoni vanno in attività sociali fatte di promozione e di assistenza ed un altro quarto va nella spesa del comparto educazione. Ora diamo un’occhiata alle condizioni dello “stivale”: tralasciando il Welfare State, per evitare di mettere il dito nella piaga, osserviamo che il 57,4% vive con un reddito mensile inferiore a 1.549 euro e il 18,6% sotto i 929 euro.

Tuttavia vorrei esaminare il concetti povertà con qualcosa in più di mere percentuali. I sociologi hanno trovato, a mio avviso, il giusto aggettivo per definire le odierne ristrettezze economiche: grigio. Questo colore sottolinea tutte le ambiguità e le mille sfaccettature di un fenomeno oserei dire strisciante, dal momento che mescola la penuria di liquidi, il guasto dei rapporti sociali per l’amico che non può più pagarsi da solo i diversivi della vita sociale e perché crea isolamento, umiliazione, depressione e perdita di autostima nelle persone. Per questi molteplici aspetti sotto i quali si mostra, la povertà ha tre dimensioni: la prima, ovviamente, è la povertà economica, cioè il non guadagnare abbastanza per coprire le spese. La seconda è l’esclusione sociale, l’anonimato, l’insignificanza in un contesto che non ti nota, che può fare a meno di te. Terza, l’insicurezza che ne deriva, del non sapere se, e per quanto tempo avrò quel lavoro con quello stipendio e che diavolo di futuro mi attende.

Voglio ora focalizzare le mie attenzioni su questo terzo e subdolo aspetto. È convenzione ormai accettata che una famiglia con un reddito inferiore ai 20 milioni di vecchie lire sia considerata povera. Ne consegue che un nucleo che possiede 25 milioni latita comunque in condizioni di assoluta precarietà, che se si vuole è anche peggiore della povertà stessa: infatti basta un inconveniente ( due mesi senza un lavoro o una malattia debilitante in famiglia) e sei nel tunnel. Compri la macchina nuova senza avere un’assicurazione, hai torto in un incidente e ti bruci i risparmi di anni e i progetti dei prossimi 10. La situazione di cui ho parlato nell’ultimo paragrafo è difficile da rintracciare, talvolta tu cerchi di scorgerla, ma non ci riesci, si nasconde fitta nella quotidianità. In questo caso il fatto di non esserne al corrente non è imputabile: questa miopia è certo una colpa, ma non da sedia elettrica. Meriterebbe la forca con tanto di boia un’altra mancanza, una realtà presente e vigente nella boundaries della capitale economica d’Italia. In questo caso non si può parlare di alcuna patologia oculare, ma di una cecità volontaria, per intenderci il tapparsi gli occhi. Nel quartiere Vigentino a sud di Milano, dove finiscono i palazzoni della metropoli, si stagliano all’orizzonte decine e decine di baracche, abitazioni di fortuna, fatte di pannelli di mobili, cofani d’auto e sacchi della spazzatura. In questi tuguri, dove chiunque non ci farebbe stare neanche il cane, ci abitano dozzine di muratori e piastrellisti, sulle disgrazie dei quali prospera il mercato nero. I ragazzini che hanno questo indirizzo sono coperti di cenci e affollano i semafori milanesi. Non è concepibile un simile stato delle cose: appena fuori il capoluogo lombardo ci si imbatte in una bidonville, in una baraccopopoli degna di Lagos, Nairobi, Niamey e l’elenco potrebbe anche andare avanti. Ma come, nella tanto civile Italia, l’Italia del calcio, dei miliardi e dell’abbondanza, non puoi girare l’angolo e ti ritrovi davanti un ratto, grande come un gatto, in cerca d’avanzi. E chi dobbiamo ringraziare per questi incontri ravvicinati? Oltre all’inefficiente Welfare State, che ho ormai surclassato di biasimi, dobbiamo stringere la mano anche alla nostra società di oggi, a quella mediocre accozzaglia di orbi che non vogliono vedere il degrado che li circonda, che sanno di vivere a fianco a fianco con la miseria, ma non vogliono farsene una ragione e quindi la ignorano, le passano accanto voltando lo sguardo dall’altra parte. Quindi bisogna andarci piano con le critiche al palazzo del potere e rendersi conto che il cambiamento deve partire non dall’alto, ma dal basso, dalla coscienza di ciascuno. Non fraintendetemi, signori miei: non voglio che diventiate missionari o munifici elargitori, ma certamente l’insignificanza sociale prima citata, in gran parte la si deve a voi e il solo essere consci della loro esistenza, credetemi, sarebbe già una gran cosa.
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